1 lavoratore su 2 in smart working non vuole tornare in ufficio
Altro che back to work tutti assieme con l’Italia in zona bianca e la fine (sperabile) della Fase 2 della pandemia: secondo un sondaggio condotto dal sindacato UIL 1 lavoratore su 2 in smart working non vuole tornare in ufficio. Sondaggio parziale, perché ristretto all’area geografica della Lombardia, ma nemmeno così tanto se si pensa …
Altro che back to work tutti assieme con l’Italia in zona bianca e la fine (sperabile) della Fase 2 della pandemia: secondo un sondaggio condotto dal sindacato UIL 1 lavoratore su 2 in smart working non vuole tornare in ufficio. Sondaggio parziale, perché ristretto all’area geografica della Lombardia, ma nemmeno così tanto se si pensa che nel settore bancario e assicurativo questo desiderio di lavorare da casa riguarda l’80% dei lavoratori.
È un vero cambio di paradigma, che ha dato un’accelerata a una modalità di lavoro che in Italia, rispetto ad altri Paesi, faticava a carburare (prima della pandemia le aziende che avevano adottato il lavoro agile erano circa il 15%, ora siamo al 35%) e che ha diverse motivazioni e conseguenze. Alcune positive e altre meno.
Tra le motivazioni di cui preoccuparsi c’è il contraccolpo psicologico. La sindrome della grotta lo chiamano gli psicologi, quel non voler abbandonare un riparo sicuro e senza sorprese dopo tutti questi mesi di incertezza e paura. Ci sono dati oggettivi (il virus è ancora tra noi, le varianti spaventano, la campagna vaccinale è ancora in atto) ma ci sono anche timori e paure che prima o poi bisognerà superare. C’è un altro aspetto psicologico da considerare: la normalità ora non è nemmeno una nuova normalità. Molti uffici sono ancora semivuoti, molti momenti che riempivano le giornate in ufficio – dal caffè alla macchinetta alla pausa pranzo – sono ancora lontani dal ricordo che ne serbiamo pre-pandemia. E il back to work ora, prima delle vacanze, è un ibrido che non piace, non attira e non aiuta a uscire dal guscio.
Poi ci sono gli aspetti positivi. I lavoratori hanno scoperto che lo smart working è un risparmio di tempo e denaro e un ottimo alleato del work life balance. E la produttività, così difficile durante la prima ondata della pandemia, ora ha trovato una sua modalità. Ma lo smart working è anche un risparmio per le aziende, come stanno stimando ormai numerose ricerche. In questa fase pandemica ha significato la riduzione del 10% dei consumi di carburante delle auto aziendali, del 20% di acqua ed energia negli uffici e, conseguentemente, una riduzione dell’impatto ambientale delle proprie attività. Un tema a cui sempre più aziende sono sensibili all’interno della propria CSR.
Che succederà quindi? Che il lavoro smart o agile diventerà sempre più strutturale, almeno per alcuni giorni a settimana e per alcune figure di lavoratori. Perché lo vogliono i lavoratori e perché conviene alle aziende, anche grazie ai vari bonus messi a disposizione dal governo. Che servirà quindi una fase di contrattazione tra le parti, stante la natura in deroga del ricorso allo smart working che terminerà con la fine dello stato di emergenza decretato ormai nella primavera del 2020. E che tutti insieme – aziende, manager, lavoratori – dovranno trovare il modo di rendere win-win-win quella che è stata una risposta all’emergenza e che inevitabilmente diventerà strutturale.