Polvere, per lo più. Ma anche umidità, incrostazioni, rifiuti non rimossi o depositati a una distanza non adeguata dalle postazioni di lavoro. E ancora aria viziata e poco salubre. Sembra incredibile, ma ancora oggi, in Italia, ci sono uffici e luoghi di lavoro in cui le condizioni di igiene e pulizia lasciano alquanto a desiderare. …
Polvere, per lo più. Ma anche umidità, incrostazioni, rifiuti non rimossi o depositati a una distanza non adeguata dalle postazioni di lavoro. E ancora aria viziata e poco salubre. Sembra incredibile, ma ancora oggi, in Italia, ci sono uffici e luoghi di lavoro in cui le condizioni di igiene e pulizia lasciano alquanto a desiderare.
Che fare se ci si ritrova a lavorare in un ambiente non salubre? Prima di tutto conoscere i propri diritti: lavorare in un ambiente sano è un diritto, tutelato da 3 articoli della Costituzione (3, 23 e 41) e ovviamente dalla legge sulla sicurezza sul lavoro (Decreto Legislativo 81/08, articoli 62 e 66). Responsabile del rispetto di queste norme è il datore di lavoro, al quale ci si può rivolgere in prima istanza per segnalare fatti e circostanze specifiche.
Se da parte del datore di lavoro non c’è una risposta positiva ci sono poi degli organi ufficialmente prestabiliti per prendersi carico di queste istanze: il medico aziendale, in primis; il responsabile del servizio prevenzione e protezione (in pratica il responsabile della sicurezza, nominato dall’azienda stessa) oppure il rappresentate dei lavoratori in materia di sicurezza sul lavoro.
Se anche le persone interne all’azienda non fanno nulla ci si può infine rivolgere alle autorità esterne, come la Spsal (Servizio prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro) attiva normalmente all’interno della Asl di appartenenza: la legge prevede che provvedano a un sopralluogo e, se il caso, a predisporre una diffida che obblighi il datore di lavoro a prendere provvedimenti, pena anche una sanzione pecuniaria.