Quando lasciare il lavoro serve per fare carriera

Secondo un fortunato libro di Seth Godin, quando le cose non funzionano lasciare il lavoro per fare carriera è la strategia giusta

Quando lasciare il lavoro serve per fare carriera

Lasciare il lavoro per fare carriera può sembrare un paradosso e però secondo alcuni recenti studi pare funzioni. Ne parla il New York Times in un articolo intitolato Sometimes You Have to Quit to Get Ahead da cui emerge la tesi secondo la quale mollare intenzionalmente è un modo per andare più lontano.

Tutto parte da un piccolo e fortunato libro di Seth Godin, “Il vicolo cieco. Il piccolo libro che vi insegna a comprendere se insistere o rinunciare” la cui tesi è molto semplice: quando non si ottengono i risultati sperati, anziché ostinarsi meglio abbandonare. Varrebbe per ogni cosa della vita, dall’appendere un quadro al muro al leggere un libro e finanche alla carriera: se non ci sono gli sbocchi sperati, se non arriva la promozione auspicata, se la strada professionale intrapresa devia dal percorso immaginato, meglio dire stop, abbandonare la nave, fermarsi e riorganizzarsi. Dice Godin che i maestri in questa arte dell’abbandono strategico (così lo chiama nel libro) sono proprio i vincenti, quei businessman e imprenditori (soprattutto USA dal suo punto di vista) che hanno avuto successo. Le loro storie raccontano della capacità di capire quando è il momento di chiudere un’esperienza, uscirne, prendere il tempo per riorganizzare idee ed energie e ripartire da capo in nuovi progetti.

Fare un passo indietro è il segreto di fare un balzo in avanti.

Semplice a dirsi, difficile a farsi, soprattutto quando le condizioni materiali (leggi: uno stipendio necessario) ti vincolano a quella posizione. E però, dal punto di vista teorico e psicologico, accettare il fallimento e passare oltre sarebbe la chiave per crescere: lo dimostra uno studio della Northwestern University secondo il quale abbandonare, fisicamente e psicologicamente, i progetti e gli obiettivi non realistici né realizzabili migliora le condizioni psicofisiche. Mollare rende più felici, meno stressati, fisicamente più in forma.

Psicologicamente tuttavia non è semplice: significa accettare il fallimento, il che ha a che fare con l’ego, l’autostima e l’immagine di sé. E altrettanto difficile è riuscire a capire il momento di lasciare, visto che la tentazione e la speranza di sistemare le cose sono sempre dure a morire. E però servirebbe riuscire a guardare le cose dall’esterno, come facciamo quando diamo un buon consiglio a un caro amico. Quante volte ci siamo trovati a dire a un amico di non comprare quella casa o quell’auto, di non fare quell’investimento, di non sposare quella persona, e poi abbiamo avuto ragione? È il punto di vista esterno che fa capire meglio le cose, e riuscire ad averlo anche su se stessi è il segreto per lasciare al momento giusto.

Già, ma quando è il momento giusto per lasciare? Quando ci si rende conto che si sono tentate tutte le strade e le strategie, quelle ortodosse e quelle eterodosse, quelle canoniche e quelle rivoluzionarie e apparentemente infruttuose, e ci si rende conto che il prezzo da pagare per abbandonare non è poi così alto. Perché sì, mollare significa pagare un prezzo: in denaro, in tempo, in autostima, in relazioni, in mille cose che prima o poi ci si rende conto non essere più così importanti. Ecco, quando ci si alza un mattino e ci si rende conto che il prezzo da pagare non è poi così alto, allora è il momento di lasciare, fermarsi, guardare le cose dall’esterno e ricaricare le pile per ripartire.