Il Coronavirus ha imposto di colpo, a migliaia di lavoratori del Nord Italia, di lavorare da casa. Dal lavoro tradizionale allo smart working nel tempo di un weekend. Con un salto triplo dal punto di vista formale, visto che il Governo è dovuto correre ai ripari con un decreto d’urgenza che consentisse alle aziende di avviare la modalità di lavoro da remoto in tempi più che brevissimi (è il decreto attuativo contenuto nel DL n.6 del 23 febbraio 2020, Misure Urgenti sul Coronavirus). Ma ancor più che gli aspetti formali, che non sono mai né banali né secondari, lavorare da casa al tempo del Coronavirus ha imposto a tantissimi lavoratori uno scatto mentale che non è scontato né facile né automatico: dall’essere gestiti al gestire in autonomia la propria agenda e le proprie scadenze. Il vantaggio: un risparmio in termini di tempo impiegato per spostarsi per e dall’ufficio a casa che può variare anche tra l’ora e l’ora e mezza. Lo svantaggio? Il rallentamento dei tempi di lavoro e in alcuni casi la dilatazione del tempo del lavoro. Tradotto: più tempo speso ad aspettare risposte e informazioni, e richieste anche oltre l’orario stabilito. Con buona pace del tempo risparmiato in viaggi casa-ufficio.
Le conseguenze del lavorare da casa al tempo del Coronavirus
Ma le conseguenze del lavorare da casa al tempo del Coronavirus non sono solo quelle misurabili in termini di tempo perso / tempo guadagnato, oppure efficienza / inefficienza. Il “più grande esperimento di smartworking mai messo in atto” (parole di Bloomber riferite alla Cina, ma anche di Domenico De Masi, professore emerito di sociologia del lavoro all’Università La Sapienza di Roma) può cambiare anche la percezione che abbiamo del lavoro, del nostro ruolo e della nostra importanza all’interno della nostra organizzazione, e del valore che hanno determinate abitudini e consuetudini radicate. Per esempio stare lontani dall’ufficio pesa la reale importanza delle persone, indipendentemente dai ruoli nella scala gerarchica: c’è chi potrebbe rivelarsi non così importante (capi e manager che non dirigono…) e chi invece risultare essenziale nonostante un ruolo di staff.
E ancora: cosa succede se non andiamo da quel determinato cliente con il quale è consuetudine vedersi a intervalli regolari? Cosa succede se non partecipiamo di persona a una riunione? Cosa succede se non siamo fisicamente a disposizione del nostro capo e dei nostri colleghi? Per chi non ha mai provato, o non ancora digerito, lo smart working sono tutte riflessioni che possono venire alla mente e cambiare un po’ la percezione di se stessi in relazione al proprio lavoro.
Però poi il lavoro non è solo produttività e compiti assegnati ed eseguiti. C’è un aspetto relazionale del lavoro che con lo smart working sparisce quasi del tutto. Le chiacchiere alla macchinetta del caffè, i discorsi in pausa pranzo, quel sentire l’aria che tira che è un po’ intuizione, un po’ pettegolezzo, un po’ capacità di fare networking sono tutti aspetti spazzati via dallo stare a casa, chiusi nel proprio spazio di lavoro, con relazioni solo mediate dalla tecnologia: il telefono, la videochiamata, le chat, i documenti condivisi. E anche a questo si finirà inevitabilmente per dare un peso specifico diverso quando l’emergenza Coronavirus e il telelavoro forzato saranno passati.
Lo smart working da Coronavirus ci dirà anche molto su quanto è importante il lavoro per noi e per la nostra quotidianità ed esistenza. Non solo perché potrebbe metterci davanti alla situazione di dover decidere se accettare un rischio oppure no (Resto a casa o vado dal cliente? Vado in ufficio o lavoro da casa?) ma anche perché allontanandoci dall’ufficio e dalle sue dinamiche ci porterà a riflettere su quanta importanza diamo al lavoro: fare gli straordinari è sempre davvero così essenziale? Potremmo organizzarci meglio per lavorare in modo più efficiente e trovare un miglior work-life balance? Quante cose potremmo fare – con la famiglia, le passioni, gli hobby – con una miglior gestione del tempo lavoro? E ancora: tutto quel tempo che passiamo in ufficio è davvero così fondamentale, o forse, finalmente, passata l’emergenza, lo smart working potrà diventare una modalità di lavoro da affiancare a quella tradizionale?