Il lavoro agile scade il 31 marzo. Poi tutti in ufficio?
È una questione soprattutto burocratica. Ma la burocrazia nei rapporti di lavoro conta parecchio. Tanto nel settore privato quanto in quello pubblico. E così è bene cominciare a guardare alla data del 31 marzo, quando scadranno le norme sullo smart working semplificato, introdotte la scorsa primavera con lo stato di emergenza dovuto alla pandemia da …
È una questione soprattutto burocratica. Ma la burocrazia nei rapporti di lavoro conta parecchio. Tanto nel settore privato quanto in quello pubblico. E così è bene cominciare a guardare alla data del 31 marzo, quando scadranno le norme sullo smart working semplificato, introdotte la scorsa primavera con lo stato di emergenza dovuto alla pandemia da Coronavirus. Già, perché in assenza di una vera legge quadro nazionale sullo smart working, il ricorso al “lavoro da casa” in questo frangente di pandemia (comunque lo si voglia considerare, dal vero smart working al più banale telelavoro) è stato fatto con molte deroghe. Deroghe necessarie a consentire ai lavoratori di poter stare a casa, di lavorare da casa, e di essere comunque pagati e tutelati, ma deroghe che scadono il 31 gennaio (è a quella data che scade il DPCM del 18 ottobre 2020) e che con qualche proroga possono arrivare al massimo fino al 31 marzo. Poi, se il Governo non interverrà, volenti o nolenti i lavoratori dovranno tornare in ufficio. Con tutto quello che potrebbe comportare se dovessimo essere ancora in piena pandemia. Per fortuna fino al termine dello stato di emergenza – che il Governo ha prorogato fino al 30 aprile – permarranno le tutele per i lavoratori fragili o con disabilità, e per i genitori con figli minori di 14 anni. Ma è solo 1 mese in più rispetto all’attuale scadenza della deroga sullo smart working. E per i dipendenti pubblici il rischio di rientro in ufficio è ancora più vicino dato che le norme sul lavoro agile nel settore pubblico sono già state prorogate fino al 31 gennaio e ora serve un nuovo decreto.