Il feedback è una soft skill sempre più importante, ma dare e ricevere ritorni di informazioni è meno semplice di quanto si creda
Non tutti e non sempre se ne rendono conto. Non sempre la cosa è esplicita. Ma quando si lavora è un continuo scambiarsi dei feedback. O dei ritorni di informazioni, per dirlo in italiano. “Mi ordini il file per importanza dei clienti per favore?” è un feedback. “Questo lavoro fa schifo” è un feedback, come anche “Ottimo lavoro“. Anche “Ci sono tutte le informazioni che ti avevo chiesto?” è un feedback. Ma seppur di esperienza comune queste frasi possono suscitare diverse se non opposte reazioni: apprendimento, frustrazione, gratificazione, sfiducia. E gli esempi possono essere infiniti. E a complicare le cose bisogna aggiungere che i feedback sono bidirezionali (dall’alto verso il basso e viceversa), espliciti ma anche impliciti (il famoso linguaggio non verbale).
Sempre più nella selezione dei candidati, nella costruzione dei team, e nella gestione delle aziende si presta importanza alle soft skill, e il feedback è proprio una di queste. C’è una vasta letteratura scientifica sul tema del feedback, sulla sua efficacia, e sulle modalità e i tempi in cui fornirlo. Letteratura a cui si aggiunge ora un nuovo libro, “Grazie del Feedback” di Andrea Laudadio e Francesco Nicodemo, da cui si possono estrapolare 8 regole semplici ed efficaci per migliorare la propria capacità di fornire e ricevere i feedback.
1. Il feedack deve essere specifico. Dire: “Questo lavoro fa schifo” non consente di capire in cosa si è sbagliato. Dire: “Questo file è inutile perché mancano i dati sulla popolazione” dice sostanzialmente la stessa cosa (il lavoro è stato inutile) ma con un’informazione specifica sul perché e su ciò che occorre fare.
2. Il feedback deve essere chiaro. Banalmente: troppe informazioni sono peggio che poche informazioni. Se per correggere un lavoro spiegano le decine di passaggi necessari a farlo si ottiene il risultato di perdere l’attenzione di chi ascolta.
3. I feedback non devono essere troppi. La definizione di troppi o pochi è molto variabile, ma insomma non è che si può passare ogni 10 minuti dietro la scrivania a commentare quello che uno sta facendo. Altrimenti è come giocare alla Playstation. Occorre dare indicazioni iniziali, lasciare il tempo di elaborarle e provare a metterle in pratica, e poi intervenire poche volte ma in modo sostanziale.
4. Il feedback deve creare empatia. Un giudizio di valore sul lavoro (“Fa schifo“) o sulla persona (“Non sei capace“) sono feedback che non creano empatia, generano frustrazione, non consentono miglioramento né autonomia. “No, vorrei per favore che ci fossero anche queste informazioni senza le quali è inutile, lo puoi rifare?” è un modo diverso, empatico, di dire comunque che il lavoro è da rifare.
5. Ci sono i momenti giusti per il feedback, e quelli sbagliati. Spiegare all’ultimo minuto prima di uscire dall’ufficio, magari dopo un paio di ore di straordinario, quello che non funziona in un lavoro da rifare il giorno dopo è sostanzialmente inutile. Meglio farlo il mattino successivo presto e subito, a mente lucida, immediatamente prima di rimettersi al lavoro.
6. Per dare e ricevere un feedback occorre avere obiettivi chiari: a cosa serve questo lavoro? Qual è il percorso da compiere? Che miglioramenti ci aspettiamo?
7. I feedback che funzionano sono quelli che pongono domande. “A cosa serve questo documento?“. “Quali informazioni deve contenere?“. “Perché?” sono tutte domande aperte che stimolano il ragionamento, la presa di coscienza e l’assunzione di responsabilità da parte di chi deve eseguire quel compito.
8. Esiste anche il feedback del feedback. Banalmente: “Ti è tutto chiaro?” è una domanda che che stimola una risposta e incita a esprimere i propri dubbi. “Adesso fallo” è un feedback che chiude la comunicazione, senza la certezza che ciò che si è spiegato sia stato davvero capito.