Maternità e carriera: la sfida delle donne ai tempi del coronavirus

Più della metà delle lavoratrici italiane rinuncerebbe a un aumento dello stipendio per ottenere migliori condizioni in maternità. Scopri di più sul nostro studio.

Maternità e carriera: la sfida delle donne ai tempi del coronavirus

Conciliare le proprie ambizioni lavorative con il ruolo di madre non è mai stato un compito semplice per moltissime donne. La totale rivoluzione del mondo del lavoro causata dalla pandemia da COVID-19 ha ulteriormente destabilizzato la situazione. Ma forse il nuovo approccio al lavoro flessibile e da remoto, sebbene forzato dal lockdown, potrebbe costituire un’opportunità per le mamme del presente e del futuro. 

Con l’attenzione ai temi del mondo del lavoro e delle risorse umane che da sempre ci contraddistingue, ci siamo quindi chiesti quale sia la situazione in Italia al momento per le lavoratrici con e senza figli.
Attraverso un sondaggio su un campione rappresentativo di 1000 donne italiane tra i 25 e i 45 anni e un commento della scrittrice e giornalista Paola Setti, autrice di “Non è un paese per mamme”, abbiamo tentato di fotografare il quadro italiano per quanto riguarda la condizione attuale delle donne al lavoro, le misure di sostegno applicate dalle aziende per affrontare la pandemia da COVID-19 e le impressioni delle donne italiane e dei loro partner su una possibile riforma dell’attuale congedo di paternità, con un occhio rivolto agli altri Paesi europei. 

Scegliere tra figli e carriera? 

Uno dei dati emersi dal sondaggio, a nostro parere più interessante, riguarda le condizioni attuali del congedo di maternità. Più della metà delle donne intervistate (53%) rinuncerebbe a un aumento dello stipendio del 10% per ottenere condizioni migliori in maternità. 

Dai dati emerge inoltre che molte donne hanno incontrato un qualche tipo di ostacolo legato alla maternità nel corso della propria carriera. Si tratta di più di 1 donna su 2 (56%), tra le quali il 29% ha rimandato la prospettiva di avere figli a causa delle policy o delle impressioni di un datore di lavoro e il 16% ha dichiarato di non aver avuto un figlio per paura di perdere il posto.  

Esaminando nello specifico chi ha subito delle conseguenze vere e proprie per aver scelto di diventare madre, il 17% dichiara di aver avuto delle ripercussioni sulla propria carriera dopo essere rimasta incinta e, tra queste, il 6% ha addirittura subito un licenziamento a causa di una gravidanza. 

“La fotografia è impietosa. Ci dicono i dati che siamo un paese di mammoni che però non ama le mamme: le donne che decidono di fare figli dovrebbero venire premiate e sostenute per aver fatto un regalo non solo a se stesse e alle proprie famiglie, ma alla società intera.”, commenta Paola Setti, “Con l’aggravante che le donne per prime chiedono scusa per il disturbo: lungi dall’essere consce che il sostegno alla conciliazione è un diritto sancito dalla Costituzione, sarebbero disposte a rinunciare a un aumento di stipendio pur di ottenere condizioni migliori. Fare un figlio è ormai una mera questione di bilancio tra costi e fatiche e la natalità è ferma a un preoccupante 1.3, contro un desiderio di 2 figli per donna.
  

COVID-19 e smart working: il post-pandemia sarà il lavoro flessibile? 

La situazione attuale causata dalla pandemia da COVID-19 ha comportato una ricalibrazione forzata delle modalità di approccio al lavoro. In molti casi, purtroppo, ha provocato un drammatico stop delle attività, per evitare la diffusione del virus e il contagio. 
In altri, fortunatamente, la tecnologia ha consentito ai lavoratori e alle lavoratrici italiane di adattarsi alla situazione straordinaria e di continuare a lavorare da casa, idealmente in un angolo casalingo adibito a ufficio e completo di scrivania, computer e seduta ergonomica.  
Il 41% delle donne intervistate dichiara di lavorare attualmente da casa in modalità smart working, di cui solo il 12% godeva già della possibilità di lavorare da remoto prima della pandemia.
 

In questo periodo di sospensione delle attività didattiche, e quindi con i figli a casa, il lavoro flessibile e il sostegno alle famiglie da parte di istituzioni e datori di lavoro è estremamente importante. 
1 donna su 5 dichiara di poter usufruire di turni e orari di lavoro flessibili e il 18% di essere in congedo retribuito. Solo il 4% afferma che il proprio datore di lavoro sta offrendo sostegno attraverso assegni familiari e/o sussidi per spese sanitarie. 
Una notizia positiva su questo fronte arriva anche dal Governo, con l’inserzione di un congedo parentale straordinario nel Decreto Cura Italia, che comporta fino a 15 giorni di congedo retribuito al 50% per genitori con figli fino ai 12 anni. 

“Le soluzioni non mancano e se c’è un lato positivo di questa terribile pandemia è proprio averle messe in campo con la forza dell’emergenza. E’ vero che questa lunga quarantena ha pesato ancora di più sulle spalle delle mamme, che si sono ritrovate con un carico doppio sulle spalle, senza il supporto della scuola. E però è proprio da questa emergenza che possiamo intravedere il cambiamento: ci voleva la peste per attivare lo smart working, allungare i congedi parentali, dare sostegni economici alle famiglie per le baby sitter e in sostanza metterci tutti in condizione di gestire lavoro e famiglia senza rinunciare alla carriera oppure alla genitorialità.”, commenta Paola Setti. 

9 donne su 10 preferirebbero un modello di congedo parentale diverso da quello italiano 

Ben l’81% delle donne intervistate vorrebbe migliori politiche a sostegno della famiglia da parte del proprio datore di lavoro, incluso un congedo di paternità più lungo e maggior supporto per i neo-genitori.  

Sulla base di una potenziale riforma del congedo di paternità come quella introdotta dal Family Act proposto dall’on. Elena Bonetti, ben il 75% delle lavoratrici con figli e il 73% dei loro partner si esprimono a favore di un congedo di paternità più lungo di quello attuale, che per ora prevede solo una settimana di congedo obbligatorio retribuito per i neo-papà. 

Solo 1 su 10 delle donne intervistate si dichiara soddisfatta dell’attuale modello di congedo parentale italiano, mentre il restante 91% vorrebbe vedere applicato un modello diverso. La maggioranza (65%) si esprime a favore del modello norvegese, che prevede 42 settimane di congedo retribuito per la madre e fino a 10 per il padre.  

Su questo punto, l’autrice Paola Setti ha commentato: L’allungamento dei congedi di paternità è senz’altro uno dei perni su cui puntare. Non solo infatti darebbe un aiuto alle mamme, ma garantirebbe il diritto, oggi molto precario, dei papà al loro ruolo di genitori. Senza contare che forzerebbe il cambiamento dal punto di vista culturale: oggi ai colloqui di lavoro solo alle donne viene domandato se hanno l’intenzione di avere figli, perché si dà per scontato che saranno meno produttive nel momento in cui dovranno occuparsene, anche usufruendo del congedo obbligatorio. Se il congedo e la cura dei figli riguardassero anche i papà si ridurrebbe di molto la discriminazione di genere sui luoghi di lavoro.