Il modo in cui si diffonde il Coronavirus negli uffici è stato appena capito da un gruppo di ricercatori coreani autori dello studio Coronavirus Disease Outbreak in Call Center, South Korea pubblicato sulla rivista scientifica Centers for Disease Control and Prevention. E se capire come si muove il virus è già un primo passo per uscire dall’emergenza, la cattiva notizia è che sicuramente non torneremo a lavorare come lavoravamo prima. Con buona pace di chi è davvero stanco del lockdown e dello smart working forzato.
Lo studio sudcoreano è stato condotto nella sede di un call center di Seoul dove il 9 marzo 2020 si è avuta notizia di un focolaio di Coronavirus: i ricercatori hanno saputo e potuto testare i 922 dipendenti degli uffici commerciali e monitorarli nei giorni successivi, sottoponendo a tampone chiunque fosse entrato in contatto ravvicinato per più di 5′ con tutti gli infetti. La studio ha dimostrato una cosa che era prevedibile e facilmente intuibile ma non ancora comprovata con dati certi: e cioè che gli ambienti affollati come gli uffici, e peggio ancora se senza spazi privati, come nel caso degli open space, sono un eccezionale fattore di contagio dell’epidemia da Coronavirus. Secondo la mappatura degli scienziati sudcoreani praticamente tutti i primi contagiati si trovavano nelle postazioni di un lato dell’ufficio open space dell’11° piano (sono le postazioni colorate in blu).
Da questa mappatura e successivo tracking i ricercatori asiatici deducono anche che è la durata dell’interazione tra persona infetta e persona negativa a essere il principale facilitatore del contagio, mentre le altre interazioni – come prendere lo stesso ascensore, assieme o in tempi diversi, o passare negli stessi corridoi – non sembra avere la stessa capacità di virulenza.
Questa modalità di diffusione da Coronavirus è quindi una informazione in più da tenere in considerazione per il ritorno alla vita lavorativa durante la Fase 2.