Scrive Oliver Burkeman sul Guardian (ripreso da Internazionale) che sempre più aziende hi-tech stanno sperimentando le settimane lavorative da 4 giorni, lasciando tutto il venerdì libero (oltre al weekend) ai propri dipendenti.
Perché in America si sta facendo strada l’idea che lavorare 4 giorni su 7 sia meglio che 5 su 7? Non c’entrano ovviamente i giovamenti per la vita famigliare, i passatempi, le amicizie e così via. La ragione sarebbe prettamente economica:
L’aspetto più interessante di questi esperimenti, confermato da alcune ricerche accademiche, è che sembra aiutare anche la produttività e la qualità del lavoro.
In parte ciò è dovuto al fatto che il “lavoro cognitivo” da scrivania si basa molto sul riposo, oltre che sull’uso, del cervello. Spingere le persone oltre i loro limiti naturali non le rende solo inefficienti ma compromette anche il lavoro dei giorni successivi. In altri casi, i dipendenti non lavorano meno ore in totale, ma semplicemente le riorganizzano, passando da cinque giorni da otto ore a quattro giorni da dieci ore. Anche questo accorgimento genera un utile senso di disciplina: pare che il sapere di dover concentrare tutto in meno giorni migliori l’efficienza generale.
Più o meno la filosofia che sta alla base del nuovo libro di Josh Davis “Two awesome hours” la cui idea è che non vale la pena cercare di tirar fuori qualcosa di utile e produttivo da ogni momento delle nostre giornate (che spesso si riducono a delle gran perdite di tempo, come avevamo raccontato qui). Meglio, molto meglio sfruttare al massimo le 2 ore di picco di produttività che ciascuno di noi ha nel corso di una giornata (a seconda se si è gufi o allodole), e magari smetterla di contare il lavoro cognitivo in ore ma in risultati ottenuti.