Complice il massiccio ricorso al lavoro da remoto dato dalla pandemia negli ultimi due anni si è molto sentito parlare di nomadi digitali. Una categoria di lavoratori che ha una definizione ben preciso e però dietro la quale si possono nascondere tantissime sfumature. Prendiamo Wikipedia, per avere una definizione neutra da interessi di parte: I …
Complice il massiccio ricorso al lavoro da remoto dato dalla pandemia negli ultimi due anni si è molto sentito parlare di nomadi digitali. Una categoria di lavoratori che ha una definizione ben preciso e però dietro la quale si possono nascondere tantissime sfumature. Prendiamo Wikipedia, per avere una definizione neutra da interessi di parte:
I nomadi digitali sono persone che conducono la loro vita impegnandosi in un lavoro da remoto, tramite le piattaforme digitali, senza una sede fissa di lavoro e vita.
Già qui ci sono alcune idee molto precise su cosa fanno i nomadi digitali: lavori che non richiedono la presenza fisica e fissa in un luogo, e principalmente che ricadono nell’ambito digital. La prima idea che viene in mente è spesso quella del travel blogger o influencer che passa da un albergo a 5 stelle a una spiaggia tropicale sfruttando la propria visibilità social per viaggiare e farsi pagare. Ma è riduttivo: ci sono anche programmatori, designer, digital marketer, social media manager ma anche consulenti nei più svariati ambiti. Non propriamente gente che “se la gode” ma persone che hanno fatto scelte precise di vita.
Anche sul concetto di “nomadismo” ci sono tante sfumature di interpretazione. Quella più affascinante – girare il mondo spostandosi da luogo a luogo molto frequentemente, come nel caso di influencer e blogger – non racconta pienamente la realtà dei nomadi digitali. Più frequente è il caso di professionisti che si spostano seguendo il flusso del proprio business laddove si creano hub di persone e strutture all’avanguardia per il loro settore professionale. E laddove si creano anche condizioni vantaggiose dal punto di vista economico: costi bassi per le infrastrutture professionali – co-working e costo della vita -, network di persone in grado di dare valore aggiunto alla propria professionalità, luoghi in cui si creano le occasioni di collaborazione su scala internazionale.
Ci sono poi alcuni aspetti di cui tener conto nel momento in cui si comincia a pensare a uno sviluppo di carriera come nomade digitale. Il primo è quello di creare dei network globali di relazioni. Relazioni che servono per spostarsi laddove il business si sposta, relazioni che servono per trovare nuovi clienti e incarichi, relazioni che servono per non rimanere isolati e non aggiornati sui nuovi trend. Il secondo di coltivare con ancor più attenzione i rapporti con i clienti, tenendo conto del fatto che ci sarà sempre un professionista concorrente in grado di assicurare vicinanza e relazione diretta con lo stesso cliente. Ovviamente la conoscenza almeno dell’inglese, se non almeno di una terza lingua, sono indispensabili per poter gestire tutti gli aspetti pratici del vivere all’estero, spostandosi ogni 6 mesi o 1 anno, dovendo affrontare situazioni anche basiche come l’affitto di un appartamento o spazio di lavoro, le utenze, e così via.
Infine è bene non confondere nomadi digitali e smart worker o lavoratori agili: lavorare da casa, da un coworking, da una caffetteria non significa essere un nomade digitale, perché mancano i presupposti del network internazionale e del continuo spostamento, pur avendo molti vantaggi dell’assenza di vincoli fisici.