La pandemia ha scombussolato la vita e il lavoro un po’ di tutti. Secondo i sondaggi 3 italiani su 10 vogliono cambiare lavoro ed è anche boom di dimissioni con numeri mai visti (tanto che è già chiamata Great Resignation) con sempre più persone che pensano di aprire la partita IVA nella speranza di poter …
La pandemia ha scombussolato la vita e il lavoro un po’ di tutti. Secondo i sondaggi 3 italiani su 10 vogliono cambiare lavoro ed è anche boom di dimissioni con numeri mai visti (tanto che è già chiamata Great Resignation) con sempre più persone che pensano di aprire la partita IVA nella speranza di poter avere più libertà, lavorare in qualche modo “agile” e riuscire nel vero work-life balance.
Ora, detto che non è così automatico, che il passaggio da dipendente a freelance è una vera e propria mutazione di specie, che lo stress c’è eccome anche da libero professionista e che prima di fare questo passaggio ci sono parecchie cose a cui pensare bene bene bene, la prima domanda veramente da farsi è: quando è obbligatorio aprire la partita IVA?
Quando è obbligatorio aprire la partita IVA
La legge da questo punto di vista è molto chiara: serve una partita IVA ogni volta che l’attività è finalizzata a produrre reddito ed è svolta in modo abituale benché non esclusiva o continuativa (per esempio nel caso dei stagionali). Quindi se ci si licenzia dal proprio lavoro dipendente e ci si mette sul mercato come consulente freelance libero professionista, qualunque sia la professione, è obbligatorio aprire la partita IVA, e questo è pacifico. Anche aprire un e-commerce per vendere obbliga ad aprire la partita IVA: ovviamente nel caso di acquisto e rivendita di prodotti, ma anche nel caso in cui si volessero vendere proprie creazioni – per esempio borse, grembiuli, manufatti artigianali – con il solo obiettivo di arrotondare il reddito. Il solo fatto che il sito di e-commerce sia online è sufficiente a giustificare l’attività continuativa.
Non è obbligatorio aprire la Partita IVA se si decide di vendere oggetti usati o nuovi saltuariamente: l’abito smesso sulle App che oggi vanno per la maggiore, l’auto su un sito specializzato ma anche oggetti ritrovati in soffitta in cantina, che si vendano online o al mercatino dell’usato. Diverso invece il caso in cui si voglia vendere al mercato o online il miele prodotto nel proprio giardino, o le confetture di marmellata fatta in casa: se ci si posiziona con una bancarella in un mercato o fiera, o si ha un punto vendita, o ancora si vende online allora serve la partita IVA.
Infine anche il volume d’affari è irrilevante: che si vendano vasetti di miele per 1000 euro l’anno (nelle forme sopra descritte) per arrotondare, o si facciano consulenze per centinaia di migliaia di euro l’anno non fa differenza. Il limite del volume d’affari a 5000 euro / anno serve solo per distinguere il lavoro autonomo occasionale che non prevede gli obblighi previdenziali, cioè il versamento dei contributi all’Inps o ad altro ente previdenziale. Quindi nel solito esempio dei vasetti di miele, se il volume d’affari annuo è di 4999 euro ci vuole la partita IVA e si pagano le tasse ma non si versano i contributi previdenziali.