Il profilo professionale si costruisce oggi anche sul web. Quello che raccontiamo e come lo comunichiamo dipende da come gestiamo i nostri canali social.
Vi ricordate qualche tempo fa quando esisteva praticamente solo Facebook e il mondo dei social media era un terreno totalmente nuovo: per chi cercasse lavoro era meglio non correre il rischio che qualcuno in azienda andasse a sbirciare le gallerie di foto goliardiche scattate nei momenti di meritato svago. Solitamente la scelta era di non farsi alcun profilo. D’altra parte è anche vero che, data la scarsa diffusione dei social, quando questi erano ancora appannaggio di pochi, era più facile rimanere anonimi. In generale era molto più facile mantenere una certa professionalità e reputazione non negandosi poi momenti di divertimento una volta fuori dall’ufficio.
Nel tempo i social media si sono moltiplicati, e sono nate decine di piattaforme come Twitter, Instagram, Snapchat solo per citare i più conosciuti. Oggi, nella società dell’informazione, in un mondo costantemente connesso, è quanto mai arduo tenere una netta distinzione tra ciò che si fa in privato e l’immagine che trasmettiamo pubblicamente, ad esempio, sul lavoro. Nel nostro recente articolo abbiamo parlato di cosa cerchiamo sul nostro capo e sui colleghi. È sempre più facile che il tuo capo, i tuoi dipendenti, i tuoi colleghi o i tuoi studenti, a qualsiasi categoria professionale tu appartenga, trovino informazioni sulla tua vita privata, volontariamente o meno, nel mondo del web. I tempi sono decisamente cambiati.
Una recente ricerca condotta in America da Careerbuilder su 2.300 recruiter e professionisti delle risorse umane ha messo in luce che il 57% è probabile non conceda un colloquio ai candidati non presenti online; il 54% ha deciso, almeno una volta, di non assumere un candidato in base al suo profilo sui social media, circa la metà dei datori di lavoro controllano i profili sui social media dei dipendenti e il 70% usa i social per scandagliare i candidati. Pensate che dei selezionatori che non hanno assunto un candidato a causa di un contenuto trovato sui social media, solo per citare alcuni casi, il 39% lo ha fatto perché ha trovato foto, video o informazioni inappropriate o provocatorie e il 32% perché il candidato ha postato commenti discriminatori riguardo razza o religione.
In Italia una ricerca simile è stata svolta da Adecco e i dati sono molto interessanti: il 64% delle attività di recruiting è online e tra tutti i canali web, per il 23% ci si affida ai social media.
Tra i recruiter, Linkedin è ormai diffusissimo: quasi l’80% lo usa per cercare i cosidetti “candidati passivi” e circa il 76% per verificare il CV. La ricerca svolta su recruiter e candidati in Italia ha poi messo in luce quanto sia importante una buona gestione dei social. Infatti, il 35% dei recruiter ha escluso, almeno una volta, un candidato dalle selezioni dopo aver visualizzato i suoi profili social. Tra le motivazioni, quella più frequente è legata alla scoperta di foto sconvenienti pubblicate dal candidato (20%) oppure la presenza di informazioni non coerenti con il CV (18,2%).
È chiaro che il tema social media vada affrontato con assoluta serietà e occorre aver chiaro come una corretta gestione degli aspetti di comunicazione online può essere in realtà di grande aiuto anche dal punto di vista lavorativo. Anche una volta ottenuto il lavoro, è importante non lasciarsi andare, sui social, a commenti o post inappropriati. Oggi moltissime aziende tengono conto di quello che pubblicano i propri dipendenti. Le aziende iniziano anche ad usare attivamente questi canali, oltre che per le attività di comunicazione istituzionale e di brand, anche per le attività di selezione.
Di recente McDonald ha utilizzato Snapchat – famoso per i post o snap che possono durare massimo 10 secondi e scompaiono dopo 24 ore – per lanciare una campagna volta a selezionare e assumere personale. Infatti Snapchat è molto utilizzato dalla cosiddetta generazione Z (ovvero i nati tra il 1995 e il 2010) e diventa quindi un medium necessario se si vuole puntare a tale fascia d’età nelle comunicazioni.
Usando con attenzione i social le probabilità di successo nel processo di candidatura possono aumentare. Una buona strategia è quella postare e condividere notizie e avvenimenti di particolare rilevanza per il settore a cui si è interessati. Pubblicare post, di proprio pugno, con consigli utili o commenti riguardo novità e accadimenti sempre coerentemente con il settore professionale di cui ci si occupa è altrettanto importante per costruirsi una buona reputazione. Questo fa in modo che altre aziende valutino il tuo interesse in un certo settore e la tua capacita di tenerti aggiornato. Anche l’interazione diretta, tramite social, con l’azienda per cui si vorrebbe lavorare, se fatta con discrezione senza sfociare in stalking, può sicuramente favorire che i recruiter ci notino o tengano presente il nostro interesse nel momento delle selezioni. A questo proposito Linkedin offre un utile strumento che permette di entrare in contatto direttamente con le figure responsabili della selezione e se usato intelligentemente, trattandosi di una piattaforma social professionale, può di sicuro essere utilizzato per intessere relazioni professionali e crearsi una rete di contatti che può sempre tornare utile. Ecco quindi alcuni punti da annotarsi per quanto riguarda Linkedin:
Usare bene i social è anche un modo per comunicare la propria personalità, i propri interessi e le proprie passioni. Non c’è nulla di più utile se si sta cercando lavoro e si vuole fare colpo sui nostri selezionatori. Infatti, se la persona che ti fa il colloquio è riuscita a farsi un’idea di te come di una persona socievole, aperta alle novità, con interessi magari simile ai suoi, sarà sicuramente più facile che si crei un giudizio positivo che potrà risultare favorevole nel confronto con altri candidati.
Quasi sempre strumenti potenti e utilizzabili in senso positivo hanno anche l’altro lato della medaglia. Nel caso dei social si tratta del fatto che è difficile controllare tutto le azioni che facciamo – i post o le pagine a cui mettiamo “like” o che commentiamo – o meglio tutte le interazioni che abbiamo con la miriade di contenuti presenti online. Abbiamo visto in precedenza come alcune aziende non abbiano assunto il candidato per ragioni legate alla “discriminazione” che potrebbe consistere in apprezzamenti a post con contenuto razziale o discriminanti a livello religioso o sociale. Per questo conviene sempre pensarci due volte prima di interagire, commentare o addirittura apprezzare certi tipi di pagine o di articoli e, in ogni caso, conviene compiere le nostre azioni online sempre con cognizione. Pensiamo a Facebook dove rimane traccia di tutto ciò a cui abbiamo accordato il “mi piace” o Instagram dove ogni nostro contatto può vedere le immagini che abbiamo apprezzato dalla sezione “following”.
In Italia, un caso emblematico è stato discusso quest’anno proprio dalla corte di cassazione: a seguito di un post su Facebook offensivo verso un superiore, una donna era stata poi licenziata dall’azienda. La sentenza descrive come il licenziamento può essere adottato solo se si prefigura il reato di diffamazione. In ogni caso meglio andare cauti con certi post: si deve cercare di sfogare il malcontento in luoghi diversi dai social.
Ecco alcuni consigli pratici da annotarsi su un post-it e tenere sempre ben in visto vicino al PC:
Qui alla Bruneau ci auguriamo che questi consigli su come gestire i social media personali possano tornarvi utili, nella vostra posizione lavorativa attuale oppure in futuro nella ricerca di un nuovo lavoro. Non vediamo l’ora di ascoltare anche il vostro punto di vista a riguardo. Hai qualche aneddoto da raccontarci? Hai mai rischiato grosso a causa di un post istintivamente pubblicato sui social? Scrivici sulla pagina Facebook Bruneau Italia.